sabato 30 aprile 2011

Le sei scuole di pensiero della filosofia induista

   
Quando parlo di Kundalini, Mantra o altro, come ho fatto nei precedenti post, bisogna capire che sono argomenti dello Yoga, ma lo Yoga è una delle scuole di pensiero dell’ India. Nell’induismo vi sono sei scuole di filosofia che hanno influenzato il pensiero in Oriente , e sono: Nyaya, Samkhya, Yoga, Vaisesika, Vedanta e Mimamsa.Queste scuole di pensiero sono chiamate Astika, e sono le sei Darshana della filosofia induista.

Vediamo le loro caratteristiche una a una incominciando dal Nyaya, e per farlo userò ancora una volta le fonti di “Wikipedia”,l’enciclopedia libera su internet.

Nyaya è una scuola di speculazione filosofica (divenuto solo in seguito un sistema metafisico) che si basa su testi conosciuti come Nyaya Sutra, che furono scritti da Aksapada Gautama, nel II secolo a.C. Il contributo più rilevante apportato dal Nyaya all’Induismo moderno consiste nella metodologia; quest’ultima è basata su un sistema logico che in seguito fu adottato dalla maggior parte delle altre scuole induiste (ortodosse o non), similmente al modo in cui scienza, religione e filosofia occidentali possono considerarsi basate sulla logica aristotelica. Ma Nyaya differisce dalla logica aristotelica, in quanto non è semplicemente una logica fine a sé stessa. Secondo questa scuola di pensiero, ottenere una valida conoscenza è l’unico modo per ottenere la liberazione dalla sofferenza; l’unica conoscenza autentica è quella che non potrà mai essere soggetta a dubbio o contraddizione, quella che riproduce l’oggetto per ciò che realmente è, e che pertanto permette di percepire la realtà in maniera veritiera e fedele. Solamente questa può considerarsi vera conoscenza, ed è contrapposta al ricordo e al dubbio, così come al ragionamento puramente ipotetico e, quindi, incerto. Nyaya è probabilmente il più vicino equivalente indiano della filosofia analitica.

Samkhya è un termine sanscrito che indica la "numerazione" derivando dal sostantivo Sakhyā che indica il "numero". Con questo nome nella cultura religiosa induista si indica uno dei sei sistemi di pensiero sviluppatisi a partire dal pieno Brahmanesimo. Secondo Vivekananda il fondatore del razionalismo indiano è stato Kapila, che è ritenuto dallo stesso e da Śankara il fondatore del pensiero samkhya. Da molti è ritenuta una  scuola non ortodossa, nonostante diverse sue concezioni siano rintracciabili già nei Veda, per via della natura non teistica, naturalistica, materialista e antispirituale del pensiero samkhya. È ritenuta la più antica delle sei scuole che riconoscono l'autorità dei Veda. In realtà il sistema Samkhya ne prescinde quasi totalmente. Secondo questo sistema filosofico, l'intera realtà scaturisce dalla relazione fra due princìpi onnipervadenti ed eterni: quello pluralistico dei puruṣa e quello evoluzionistico della prakriti, la materia. I purusha sono gli spiriti delle individualità umane, le monadi spirituali, che sono di numero infinito. Tali puri spiriti, i Purusha, sono spettatori passivi e testimoni silenziosi delle evoluzioni della prakṛti (la materia o natura) che è completamente pervasa da tre qualità costitutive, i Guna: Sattva, Rajas e Tamas. Queste entrano nella composizione di qualsiasi manifestazione della natura e corrispondono, rispettivamente, alla leggerezza, luminosità, all'attività, dinamismo e alla pesantezza, oscurità. Quando la quiete della Prakrti, cioè l'equilibrio fra i tre guna, viene alterata, si ha l'inizio di un nuovo universo e, quindi, l'avvio evolutivo del mondo manifesto. Questa alterazione dello stato originario di quiete è dovuta alla stretta vicinanza tra Purusha e Prakrti e causata dalla relazione intercorrente fra questi due princìpi.

Vaisesika codificato da Kanāda; costituisce la "dottrina distintiva", l'analisi dell'esistente. Questa scuola è diretta alla conoscenza delle cose singole in quanto tali, considerate in modo distintivo nella loro esistenza contingente e può essere definito come un realismo atomistico pluralista. Esso cerca di definire i caratteri generali delle cose osservate e postula sei categorie (padārtha) tramite le quali "classifica" la molteplicità della manifestazione: sostanza (dravya), qualità (guna), azione (karma), generalità (sāmānya), particolarità (a&viśes), inerenza (samavāya). Come per ogni altra scuola, la sua ricerca della verità delle cose è sempre rivolta a liberare la coscienza dell'individuo imprigionata nell'ignoranza.

Vedanta Nessuna interpretazione dei testi (VEDA) è prevalsa sulle altre, e parecchie scuole Vedānta si sono sviluppate, differenziate dalla loro concezione della natura, della relazione e del grado di identità fra il Sé individuale (jīva) e l'Assoluto (Brahman). Queste spaziano dal monismo o non-dualismo (Advaita) del filosofo Adi Shankara (VIII secolo), al dualismo qualificato o teismo (Vishi-stadvaita) XI-XII secolo di Ramanuja, al dualismo (Dvaita) (XIII secolo) di Madhva, all'Acintya-Bheda-Abheda ("simultanea e inconcepibile differenza ed unità") di Caitanya Mahaprabhu. Tutte le scuole Vedānta, tuttavia, mantengono in comune un certo numero di principi:

  • la trasmigrazione del Sé (Saṃsāra) e l'opportunità della liberazione dal ciclo delle rinascite (moksha);
  • l'autorità dei Veda sulle modalità di liberazione;
  • che il Brahman è sia la causa materiale (upadana) che quella strumentale (nimitta) del mondo;
  • che il Sé (Ātman) è l'agente dei propri atti (karma) e quindi il destinatario dei frutti o delle conseguenze delle azioni (phala).

L'influenza del Vedānta sul pensiero indiano è stata profonda.A causa della preponderanza di testi Advaita, in Occidente si ha spesso l'errata convinzione che Vedānta significhi Advaita, mentre questa corrente non-dualistica è solo una delle molte scuole vedantine, benché forse la più importante.

 Mimamsa  letteralmente significa "riflessione profonda", indagine, esegesi. I seguaci del Mīmāṃsā si chiamano Mīmāsāka. In India è la più antica delle sei scuole filosofiche brahmaniche.. Il nome completo di questa scuola è Pūrvamīmāṃsā (“Riflessione anteriore”) per distinguerla dalla Uttaramīmāṃsā (“Riflessione posteriore”), in seguito indicata con il nome di Vedānta. Il testo base di questa scuola è il Pūrvamīmāṃsā Sūtra (“Gli Aforismi dell’Indagine anteriore) attribuito a Jaimini (ca. 300/200 a.C.), opera che dà l’avvio ad una disamina che spinge forse più lontano di quanto non fosse stato mai fatto, non soltanto in India, la pratica dell’ermeneutica sistematica, in particolare delle regole teologico-sacrificali (che rendono conto delle modalità espositive e della rilevanza simbolica del rito) e delle prescrizioni per l'esatta esecuzione dei riti sacrificali appannaggio della classe brahmanica, unica depositaria del sapere vedico sui piani gnoseologico e ritualistico. In India l’importanza del ritualismo è estrema: solo l’espletazione regolare del sacrificio garantisce la persistenza dell’armonia cosmica (dharma) e del buon ordine sociale.

Yoga: yoga-darśana (dottrina dello yoga) rappresenta una delle sei darśana, ovvero uno dei "sistemi ortodossi della filosofia religiosa" induista. Il termine yoga si riscontra già nel più antico dei Veda, il Ṛgveda, con il significato di "unire", "attaccare". Da qui il significato, posteriore, di yoga come tecnica ascetica o meditativa avente come scopo l' "unione mistica" con la Realtà ultima e tesa ad "aggiogare", "controllare", "governare" i "sensi" (indriya) e i vissuti da parte della coscienza (buddhi). Yoga indica l'insieme delle tecniche che consentono il congiungimento del corpo, della mente e dell'anima con Dio (o Paramatma), l'unione tra Jivatman (energia individuale) e Paramatman (energia universale). Colui che segue e pratica il cammino dello Yoga è chiamato yogi o yogin (le donne sono dette yogini). La prima grande opera indiana che descrive e sistema le tecniche dello Yoga è lo Yoga Sutra (Aforismi sullo Yoga), redatto da Patanjali, che raccoglie 185 aforismi. La diffusione di pratiche risalenti a quella tradizione in occidente,come la meditazione (dhyana), gli esercizi di controllo del respiro (pranayama) o gli asana (le celebri "posizioni" con cui lo Yoga viene comunemente identificato), ha tralasciato quasi sempre gli altri livelli, ed in particolare i primi due iniziali (Yama e Niyama) e per questo fondamentali. Ciò è dovuto al fatto che nella società occidentale il rapporto con lo Yoga non è mai stato strettamente relazionato alla religione (in particolare quindi all'unione dell'anima con il Signore), ma è sempre stato inteso come una disciplina che mira al semplice riequilibrio psicofisico dell'uomo e al raggiungimento di un generico stato di "benessere".

Adesso, che con l’aiuto di “Wikipedia” ho illustrato le sei scuole di pensiero della filosofia induista, penso che tutti noi abbiamo un po’ più chiaro da dove nascono gli antichi insegnamenti dello Yoga, anche in rapporto alle altre scuole filosofiche induiste.

                                                             

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