domenica 24 giugno 2012

Pratyahara (प्रत्याहार) (ritrazione dei/dai sensi)


Perché ci avviciniamo allo Yoga (nel termine completo del termine)?

A volte incontriamo lo Yoga delle discipline fisiche, cioè l’Hatha Yoga, magari ci basta così,

ma per altre persone, come è successo a me, si apre una porta nel cuore e nella mente che ci indica che quella è la strada che deve seguire per colmare una sete di conoscenza, di richiesta di un qualcosa molto più profondo che senti che è lì ma non sai come arrivarci, cosa serve e cosa imparare. Conoscenza, un termine anche abusato ma che ci guida.

Incontrando lo Yoga incominciamo a conoscere e leggere anche antichi testi che ci conducono per mano, ci portano al desiderio di incontrare chi ha realizzato questo sentiero e cioè un Guru, ma questo non è il tema di oggi. Parlavo di testi e a parer mio il principale è “YOGA SUTRA” di Patanjali. La parola “yoga” fu usata in India fin dall'epoca dei Veda (1200 a.c. circa). Quello che noi chiamiamo YOGA CLASSICO fu codificato come uno dei sei darsana(punti di vista) del pensiero filosofico-religioso indiano grazie all'opera di Patanjali nei primi secoli, ma la sua datazione è molto incerta. Nel suo trattato “Yoga-sutra” (Aforismi dello Yoga) espone i principi fondamentali di quello che viene anche chiamato Raja-yoga o Yoga regale, o ancora Astanga Yoga, poiché costituito di otto membra,

 e che non è riferito all’Astanga Yoga creato da Pattabhi Jois in voga in questo periodo. Patanjali propone che allo scopo di raggiungere l’obiettivo della realizzazione o illuminazione lo yogin inizi una pratica (abhyasa) articolata in otto momenti, o membra le quali sono di natura, sia comportamentale e fisica (i primi cinque, detti anche bahir-anga, membra esteriori) sia più propriamente spirituali (gli ultimi tre, i cosiddetti antar-anga, membra interiori).

Le prime cinque membra di questo Yoga sono nell'ordine:

yama, niyama, asana, pranayama e pratyahara (bahir-anga)

mentre le restanti tre (antar-anga) sono : dharana, dhyana e samadhi.

Al quinto posto di questo cammino c’è Pratyahara, il significato deriva da due parole sanscrite: 

Praty e Ahara. Praty=contrario, hara=alimentarsi. Alimentarsi al contrario. Alimentare i sensi al contrario: i sensi in questo modo non si nutrono più attraverso la utilizzo degli oggetti esterni, ma rivolgendo la loro attenzione verso l’interno. Normalmente i nostri sensi registrano un oggetto e la mente entra in rapporto con quell'oggetto; nel Pratyahara si va a interrompere questo rapporto, così i sensi si ritirano. Gli oggetti dei sensi, la forma per gli occhi, il suono per le orecchie ecc., sono lì, ma non si permette più agli organi sensoriali di essere influenzati dai loro oggetti. Bisogna precisare che i sensi non sono inattivi, funzionano, ma solo per servire la mente. Praticando il Pratyahara è quindi possibile nel tempo esplorare e riconoscere il funzionamento sottile della nostra mente, possiamo allora rilassare le tensioni sia mentali sia emozionali per entrare in contatto con le qualità e il potenziale inespressi della nostra mente e quindi con la nostra vera personalità. Nel suo blog Gianni Lombardi parlando del Pratyahara ci dice: “. Come sempre nello Yoga, ancora di più adesso, fare l’esperienza è più importante che parlarne, anche perché più si va avanti con le esperienze sottili, più è difficile raccontarle. Pratyahara è un’esperienza che la maggior parte di noi ha fatto più volte nella vita e, anche se inconsapevole, è molto comune. Ad esempio, quando si è profondamente immersi in un’attività e non si sente la tv accesa nella stanza vicina, il telefono suonare, non si notano le voci in cortile, non si sente l’aereo passare, quella è una condizione di spontanea ritrazione dei sensi”. Ci sono due tecniche che possiamo imparare per incominciare a praticare/conoscere Pratyahara e sono

Trataka (guardare fisso, concentrare lo sguardo) e Ajapa Japa (concentrazione sul respiro).

Trataka: La pratica consiste nell'osservare la fiamma di una candela, oppure un’immagine cara o piacevole. È consentito anche di fare degli esperimenti sopratutto all'inizio (ad esempio per qualche giorno uso l’immagine, per qualche giorno la candela) alla fine è consigliato di utilizzare sempre lo stesso oggetto, finché la pratica non è ben appresa.

Trataka fa parte delle tecniche di purificazione e pulizia (Shatkarma, o Kriya Yoga) Aiuta a migliorare la vista, aiuta la pulizia dell’occhio grazie alla stimolazione della lacrimazione. È inoltre di grande aiuto per imparare a concentrarsi rapidamente. E’ un’esperienza molto personale che va approfondita a lungo, meglio se all'inizio imparata da un insegnante di Yoga.

Ajapa Japa (la concentrazione sul respiro), sempre Gianni Lombardi ci descrive così la tecnica nel suo blog: “Questa pratica può essere compiuta in qualsiasi momento si possa stare seduti tranquilli. A occhi chiusi, porta la tua attenzione al respiro. Mentre IN-spiri ascolta e recita il suono immaginario “So”. Prolunga il suono per tutta la durata dell’inspiro. Mentre E-spiri ascolta e recita il suono immaginario “Ham”. Prolunga il suono per tutta la durata dell’espiro. Continua per tutto il tempo disponibile. Quando gli organi di senso sono sotto controllo grazie alla pratica di pratyahara, scopri che il progresso nel cammino dello Yoga è più agevole, svolgendo pratiche più elevate con maggiore facilità. Spesso le persone si lanciano su pratiche elevate e poi si lamentano di non ottenere benefici. Progredire lentamente è meglio, e porta a risultati più durevoli”.

Una volta appreso Pratyahara si può portarlo nella nostra meditazione. Sediamo a gambe incrociate, nella nostra posizione di meditazione, portiamo la nostra consapevolezza dapprima sul respiro e più precisamente alle narici, percepiamo l’aria che entra e l’aria che esce, entriamo nello stato del “Qui e Ora”, il Presente. a ogni passaggio dedichiamo tutto il tempo necessario,non abbiamo fretta di passare al successivo, la meditazione deve essere un’esperienza di pace,non di tensione). Secondo passo: portiamo la nostra consapevolezza alla parte più bassa del corpo dai piedi fino al bacino, ascoltiamo il corpo, osserviamo solamente, non seguiamo la mente, piuttosto ritorniamo al respiro. Terzo passo: lasciamo il passo numero due e non dobbiamo ritornarci più per questa meditazione, la nostra consapevolezza ora la portiamo alla regione centrale del corpo dal bacino al diaframma, addominali compresi, avanti, dietro e laterale. Anche qui osserviamo e ascoltiamo. Quarto passo: lasciamo il passo tre e non ritorniamoci più e portiamo la nostra consapevolezza al petto, al dorso alle spalle e alle braccia, mani comprese, seguiamo le istruzioni precedenti, osserviamo e ascoltiamo. Quinto passo: lasciata la parte numeri quattro, la nostra consapevolezza la riportiamo alla testa, il resto del corpo lo dimentichiamo, i sensi li abbiamo ritratti fino alla parte più alta. osserviamo la nostra mente e il nostro respiro, come in Ajapa Japa possiamo recitare in modo immaginario SO-Ham che viene anche chiamato il mantra naturale, perché indica il respiro, il suono che produce il respiro, così ci insegnano i grandi Maestri dello Yoga.

A questo punto possiamo meditare così, chi usa un mantra universale o un mantra personale può ritirare la propria consapevolezza al centro di se, usando questa tecnica.

Portiamo la nostra consapevolezza allo spazio fra le sopracciglia (AJNA CHAKRA) rivolgendo lo sguardo all'interno a osservare la propria mente, e dopo un po’ iniziamo a ripetere il Mantra che usiamo rimanendo focalizzati su esso per tutto il tempo che meditiamo”. Prima di uscire dalla meditazione ritorniamo brevemente al respiro alle narici, poi chiniamo il capo leggermente verso il basso e molto lentamente cominciamo ad aprire gli occhi, la luce deve entrare lentamente, permettiamo a noi stessi di godere della meditazione e al corpo e ai sensi di ritornare allo stato di consapevolezza esterna in modo tranquillo e dolce.

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